martedì 22 maggio 2018


LE DIFFERENZE TRA PLATONE E ARISTOTELE

LA LOGICA DI ARISTOTELE 






ARISTOTELE

LA SOSTANZA

Aristotele divide le sostanze in:

LE SOSTANZE PRIME:

esistono in modo autonomo e fungono da soggetti, che dal punto di vista ontologico sono soggetti reali mentre dal punto di vista logico sono soggetti logici .

LE SOSTANZE SECONDE: 

non possono esistere indipendentemente dagli individui concreti  (le specie e i generi).

L'essere non coincide con il mondo delle idee ma è un insieme si sostanze dotate di varie qualità. questo viene chiamato SINOLO, cioè unione indissolubile, di forma e materia.
Una trasformazione intera dell'essere si tratta dal passaggio dall'essere in potenza della materia a quello in atto della forma.

La materia è quell'elemento indeterminato che ha la potenzialità, mentre la forma è l'elemento attuale.
Però la forma pura e assoluta dell'attualità coincide con Dio.

LE NOZIONI DI POTENZA E ATTO
Grazie all'introduzione dei concetti di "forma" e di "materia" Aristotele riesce a elaborare una soluzione al problema del "divenire". Secondo lui, quando avviene un cambiamento si ha il passaggio da un tipo di essere a un altro, quindi una trasformazione interna dell'essere (passaggio dell'essere in potenza della materia e quello in atto della forma)
LA TEORIA DELLE QUATTRO CAUSE
Aristotele giunge a elaborare una spiegazione dei fenomeni, riconoscendo all'origine di ognuno di essi quattro tipi di cause:

  •  una causa materiale: la materia di cui una cosa è fatta 
  • una causa formale: ciò che fa si che una cosa sia proprio quella cosa e non un'altra
  • una causa efficiente: la forza che genera un mutamento
  • una causa finale
Aristotele utilizza le 4 cause per gli enti naturali , ma si serve di esempi del mondo artificiale-umano perchè così può rendere più visibili cose che nel mondo naturale sono meno visibili . 
L’essenza delle cose è nelle cose stesse e l’essenza è un qualcosa di dinamico : non è solo ciò che un cavallo è , ma anche ciò che mira ad essere (un cavallo mira ad essere un buon cavallo).
Per Aristotele il mondo fisico non va svalutato come era per Platone : è proprio nel mondo fisico che si trova l’essenza delle cose .
Le opere biologiche di Aristotele sono molto importanti perchè da lì ha derivato le sue ideologie : per esempio , i fenomeni riproduttivi animali : la madre fornisce la materia , il padre la forma (la madre fornisce la materia priva di forma,quindi è causa materiale : tutte le altre cause sono nel padre : egli possiede già la forma da dare ed è quindi causa formale , è causa efficiente perchè mette in moto il processo fecondando , ed è pure causa finale : lo scopo dell’uomo è essere uomo). 


lunedì 21 maggio 2018

ARISTOTELE

Aristotele nacque verso il 384 a.C., a Stagira, in Grecia. Era figlio di Nicomaco, e di Festide.
Fu discepolo e collaboratore di Platone alla Accademia. Pur assimilando molte idee del maestro Platone andò sviluppando un proprio pensiero originale e quando morì Platone abbandonò l'Accademia.
Si dedicò a ricerche di biologia, formando una “Storia degli animali”.
Inoltre Aristotele ad Atene, fondò il Liceo.
Per Aristotele esisteva sì, un mondo intelligibile, spirituale e invisibile ma è reale anche il mondo sensibile, cioè quello fatto di sostanze materiali.
Per Aristotele è centrale la sostanza, che è una sostanza materiale e corporea; ed è questa, presente, la vera vita.









in questa immagine si vedono Platone (che indica il cielo) e Aristotele (che indica la terra). da qui si capisce che condividevano alcuni pensieri ma che avevano teorie opposte. 










Tutto il sapere si suddivide ordinatamente in scienze:
  • teoretiche, volte al "sapere per il sapere" (theorein, vedere, contemplare). Queste sono le più importanti del sapere, perché hanno il compito di dirci cosa esiste;
  • pratiche, volte al "fare" (poiein), come l’ etica, per l'agire del singolo, e politica, per l'agire della collettività, che hanno il compito di delineare il retto comportamento dell'uomo;
  • poietiche, volte all'agire (prassein) dove l'uomo non ha solo la possibilità di agire, può anche fare, cioè modificare il mondo materiale in cui si trova immerso; è il campo dell'arte.

Secondo Aristotele nell'uomo c’è il desiderio di conoscere la verità, e questo desiderio è più forte di qualsiasi interesse pratico. L'uomo desidera sapere il senso della sua esistenza, come è davvero, non piegandone la ricerca a un progetto predeterminato.
Si può capire che pensasse ciò da questa sua celebre frase:
«Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia (...). Ora chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere (...). Cosicché se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica.»(Met,A,2,982b)
«Il fine della scienza teoretica è la verità» (Met,m A elatton, 1, 993b).

La metafisica

è la scienza fondamentale che si occupa delle caratteristiche universali dell'essere.
il punto di partenza della ricerca aristotelica sull'essere è quell'universo fatto da oggetti che possiamo percepire attraverso i sensi e a cui attribuiamo un nome e un significato ( questo cane, questo gatto,Lucia, Francesco...)

i punti principali della sua metafisica:
-sostanza: è l'individuo concreto
-materia
-forma
-atto
-potenza

Per Aristotele la metafisica ha come oggetto l'essere in quanto essere (ontologia) ma può avere UNA MOLTEPLICITÀ DI ASPETTI.
Questa ha quattro significati fondamentali: 
 
AITIOLOGIA:
è la scienza delle cause prime, ossia dei supremi perché. Si possono in effetti conoscere dei perché prossimi, che si costituiscono in realtà come dei "come" in rapporto ai perché supremi,
Le cause prime sono quattro:
  • La causa materiale o materia è il sostrato indeterminato, privo quindi di caratteri specifici. Di questa causa si sono occupati essenzialmente i primi filosofi (dalla scuola ionica a Eraclito).
  • La causa formale o forma è il fattore determinante, ciò che fa sì che la materia indeterminata assuma certi caratteri distintivi. Di questa causa si è occupato in particolare Platone, con la sua teoria delle idee.
  • La causa efficiente (o efficace, o agente) è ciò da cui è prodotto l'effetto: è la causa nel senso corrente del termine. È Empedocle ad aver per primo individuato questa causa, da lui collocata nelle forze di Amore e Odio.
  • La causa finale o fine è ciò verso cui tende la cosa causata. Di questa causa ha parlato soprattutto Anassagora, con la sua teoria del Nous, che organizza tutta la realtà dei semi in modo ordinato e finalizzato. Materia e forma sono principi intrinseci alla cosa, al punto che non si possono scindere. Causa efficiente e finale sono invece estrinseci alla cosa causata, la prima precedendola, la seconda seguendola.
ONTOLOGIA:
Aristotele afferma che vi è una scienza che studia l'essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in quanto tale. La metafisica è infatti, nel suo secondo senso, scienza dell'essere in quanto essere.

ANALOGIA: uni-molteplicità dell’essere
Aristotele afferma quindi la analogia dell'essere.
In altre parole l'essere non è né univoco, cioè detto nello stesso identico senso di due cose diverse (ad esempio “cavallo” detto di due cavalli), né equivoco cioè due cose diverse con senso (totalmente) diverso.
Tra i vari enti esiste, in questo senso, una analogia: si dice analogicamente, cioè né equivocamente né univocamente, che “è” una cosa e, ad esempio, un suo colore, un suo effetto operativo, un ricordo di essa, un sentimento da lei suscitato.

Così Aristotele supera definitivamente Parmenide, che concepiva l'essere come univoco, completando Platone, che secondo Aristotele, concepiva ancora l'essere come un genere, sia pure un genere trascendente, ossia come un universale sostanziale.

Unità dell’essere
In quanto uno, l'essere ha delle leggi, dei principi a cui obbedire:
  • di identità
  • di non-contraddizione
  • del "terzo escluso", per cui è impossibile che la stessa cosa sia e non sia
Questi principi non possono essere dimostrati positivamente.

Molteplicità dell’essere
Si danno quattro significati fondamentali dell'essere:
  • Essere secondo il vero e il falso: è l'essere in quanto pensato: solo questo essere può essere falso; infatti la falsità è solo nel giudizio del soggetto che non si "adegua" all'oggettività del reale. Non esistono "cose false", ma pensieri falsi. Il che significa che l'essere in senso vero e proprio coincide col vero. Il che è molto prossimo al dire che la realtà non inganna, ma è il soggetto umano a porre diaframmi alla verità, a cercare di alterare ciò che di per sè sarebbe retto e limpido.
  • Essere accidentale: è l'essere che di fatto si trova ad accadere, ma potrebbe anche non accadere; è senza essere radicato nelle profondità necessarie delle strutture intelligibili che costituiscono l'intelaiatura del reale. Di fatto è accidentale ogni realtà particolare e ogni evento concreto. Necessarie sono solo le struttura intelligibili, le nature specifiche e le leggi universali. Questo significa che per Aristotele io che scrivo e tu che leggi esistiamo per un caso, e per caso ci è accaduto nella vita quello che ci è accaduto: il particolare in quanto tale non ha senso, è assurdo. Sensato è unicamente l'universale. Ma in questo modo, per Aristotele, la vita concreta non è salvata.
  • Essere secondo potenza e atto. Con questi concetti Aristotele imposta la sua soluzione al problema della contraddittorietà del divenire, quale la aveva prospettata Parmenide. Per il quale il divenire è l'essere del non essere e il non essere dell'essere. Invece il passaggio è non dal non-essere (assoluto) ma da quel non-essere relativo che è l'essere potenziale all'essere attuale. Il che non implica contraddizione. Essere potenziale è ad esempio il seme rispetto alla pianta che se ne svilupperà: il seme è in atto seme, e in potenza pianta.
  • Essere secondo le categorie. Ossia sostanza, qualità, quantità, luogo, tempo, relazione, agire, patire. Una distinzione essenziale va fatta tra la categoria di sostanza, che è la principale, e quelle degli "accidenti".
i sensi dell'essere
/[ideale]("secondo il vero e il falso")
essere/accidentale(katà symbebekòs)
\[reale]/secondo potenza e atto(essere in senso dinamico)
\[necessario]
\secondo le categorie(essere in senso statico-strutturale)

USIOLOGIA:
Nell'essere un posto centrale lo occupa la sostanza.
Le caratteristiche della sostanza sono le seguenti:

  • unità: la sostanza deve essere un che di uno: un sasso è una sostanza, un mucchio di sassi no;
  • determinatezza: deve potersi indicare concretamente: l'umanità non è sostanza (se non in senso secondario: sostanza seconda), lo è l'uomo, quest'uomo qui (questo è sostanza prima, sostanza in senso vero e proprio);
  • indipendenza: appunto in quanto la sostanza sussiste, e non inerisce: un maglione è sostanza, il blu no, perché è sempre blu di qualcosa, di qualche sostanza, ad esempio blu del maglione;
  • attualità: deve essere qualcosa di attuale, di reale: il seme che è seme ora, è sostanza, la pianta che il seme può diventare, sviluppandosi, non è sostanza, finché il seme resta seme.

martedì 1 maggio 2018


LA LEGGE DEL TERZO UOMO


L'argomento del terzo uomo (τρίτος ἄνϑρωπος) è un ragionamento critico formulato da Aristotele rivolto ad un particolare aspetto della dottrina platonica delle idee, che mette in discussione la trascendenza di queste ultime rispetto agli enti sensibili.

Proposto per la prima volta dallo stesso Platone nel Parmenide, l'argomento fu poi ripreso da Aristotele per opporsi alla teoria del maestro e contestarne la concezione trascendente delle idee.
L'esempio portato da Aristotele nel suo rilievo critico è quello di un uomo, da cui il nome dell'argomento. Egli obiettò che, secondo la teoria platonica, tutti gli uomini del mondo sensibile sono tali perché partecipano dell'Idea di Uomo, perfetta in sé, ma separata rispetto a quei singoli uomini. Nonostante una tale separazione, tuttavia, vi deve pur essere un legame, o elemento in comune, in base al quale quegli uomini particolari siano effettivamente partecipi del loro Ideale corrispondente, altrimenti non vi parteciperebbero affatto. Proprio l'idea del «terzo uomo» rappresenta dunque tutto ciò che vi è in comune tra gli uomini sensibili e l'Uomo ideale. Ma a questo punto, anche il terzo uomo si troverebbe separato dall'Idea, e vi sarebbe bisogno di un ulteriore elemento che ne rappresenti gli aspetti in comune, poi un altro ancora, e così via all'infinito. Si parla pertanto in questo caso di "regresso all'infinito".
Aristotele conclude che una tale moltiplicazione degli enti rivela l'inefficacia della teoria che postuli una separazione tra gli individui corporei e le loro Idee corrispondenti. Ogni realtà deve piuttosto avere in se stessa, e non in cielo, le ragioni del proprio costituirsi (immanenza). Nel caso dell'esempio, «uomo» è un predicato comune a più enti, a cui viene erroneamente conferita un'esistenza autonoma da ciò di cui si predica, come se il predicato fosse esso stesso un uomo.

Il contesto filosofico

Platone tuttavia sarebbe già stato consapevole di una tale obiezione, mostrando di conoscerla non solo nel Parmenide, ma anche in Repubblica e nel Timeo. Essa quindi non inficerebbe la dottrina delle idee quale egli la professava, ma solo l'erronea tendenza a separare le idee dagli enti sensibili, concependole come fossero degli enti sensibili anch'esse.Platone avrebbe utilizzato per primo l'argomento presente nell'aristotelico «terzo uomo» per evitare che la sua dottrina venisse fraintesa. Il rapporto tra idee e mondo fenomenico è stato d'altronde da lui illustrato secondo ottiche diverse, non solo come metessi (partecipazione) e mimesi (imitazione), ma anche come diairesi (principio della divisione), e processione dall'Uno e la Diade.

Aristotele avrebbe però utilizzato l'argomento del «terzo uomo» proprio per contestare alla radice la dottrina delle idee, da lui interpretate, a differenza del suo maestro Platone, in senso statico e come semplice duplicazione del piano fisico.

Alcune questioni sollevate da Aristotele contro la trascendenza platonica delle idee saranno comunque fatte proprie dai successivi filosofi neoplatonici, i quali, pur criticandole, le integrarono con una visione anche immanente dell'intellegibile, che ad esempio in Plotino viene veicolato dall'ipostasi dell'Anima negli organismi viventi, diventando la loro ragione formante e operante dall'interno.

PLATONE

Platone, è stato un filosofo greco antico. Assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele ha posto le basi del pensiero filosofico occidentale.
Naacque ad Atene da genitori aristocratici: il padre Aristone, che vantava tra i suoi antenati Codro, l'ultimo leggendario re di Atene, gli impose il nome del nonno, cioè Aristocle; la madre, Perictione, secondo Diogene Laerzio discendeva dal famoso legislatore Solone. 

I viaggi e l'incontro con Socrate

Platone frequentò l'eracliteo Cratilo e il parmenideo Ermogene, ma non è certo se la notizia sia reale o se voglia giustificare la sua successiva dottrina, influenzata sotto diversi aspetti dal pensiero dei suoi due grandi predecessori, Eraclito e Parmenide, da lui considerati gli autentici fondatori della filosofia.
Avrebbe partecipato a tre spedizioni militari, durante la guerra del Peloponneso, a Tanagra, a Corinto e a Delio, dal 409 a.C. al 407 a.C., anno in cui, conosciuto Socrate, avrebbe distrutto tutte le sue composizioni poetiche per dedicarsi completamente alla filosofia.[26]
Fondamentale il suo incontro con Socrate che, dopo la parentesi del governo, oligarchico e filo-spartano, dei Trenta tiranni, del quale faceva parte lo zio di Platone Crizia, fu accusato dal nuovo governo democratico di empietà e di corruzione dei giovani e condannato a morte nel 399 a.C.. Nell'Apologia di Socrate l'allievo descrive il processo del maestro, che pronuncia la sua difesa, denuncia la falsità di chi l'accusa di corrompere i giovani e come testimoni della sua condotta menziona un gruppo di suoi amici presenti nel tribunale, tra i quali «Adimànto, figlio di Aristòne, di cui Platone, qui presente, è fratello» .[27]. Tuttavia nel Fedone, il narratore Fedone di Elide riferisce a Echecrate che Platone non era presente alle ultime ore di vita di Socrate.[28] Platone è dunque stranamente assente, forse malato (59b): in realtà, nessun'altra fonte antica parla per quell'epoca di una malattia del filosofo, tanto grave da impedirgli di assistere il maestro nelle ultime ore. Con la sua assenza, Platone forse vuole affermare che il dialogo non sarà una cronaca puntuale della morte di Socrate, quanto piuttosto, come afferma Bruno Centrone, una sua ricostruzione letteraria in linea con lo spirito dialogico del maestro.[29] oppure che egli non voglia compromettersi condividendo l'accusa di ateismo che ha portato Socrate alla morte. Non a caso dopo la scomparsa del maestro i suoi discepoli, compreso Platone, lasciarono Atene per rifugiarsi a Megara.[30] Da qui Platone si recò a Cirene, frequentando il matematico Teodoro di Cirene e ancora in Italia, dai pitagorici Filolao, Eurito e Acrione. Infine si sarebbe recato in Egitto, dove i sacerdoti l'avrebbero guarito da una malattia. Ma la fondatezza della notizia di questi viaggi è molto dubbia.

I primi dialoghi

A partire dal 395 a.C. Platone dovrebbe aver cominciato a scrivere i primi dialoghi, nei quali affronta il problema culturale rappresentato dalla figura di Socrate e la funzione dei sofisti: nascono così, in un possibile ordine cronologico:
l'Apologia di Socrate, che tuttavia non è un dialogo;
il Critone, in cui Socrate discute la legittimità delle leggi;
lo Ione, in cui Socrate con il gusto dello scherzo dialoga sul significato di Arte umana e Arte divina con un attore, il rapsodo, che interpreta o è posseduto dalla Poesia;
l'Eutifrone;
il Carmide;
il Lachete;
il Liside;
l'Alcibiade primo;
l'Alcibiade secondo (queste due attribuzioni a Platone sono tuttavia discusse);
l'Ippia maggiore;
l'Ippia minore;
il Menesseno;
il Protagora;
il Gorgia.

Filosofia e politica

Quella che in termini storici possiamo chiamare "filosofia platonica" – ovvero il corpus di idee e di testi che definiscono la tradizione storica del pensiero platonico – è sorta dalla riflessione sulla politica. Come scrive Alexandre Koyré: «tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate».
Occorre tuttavia distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Non è certo in quest'ultima accezione che dobbiamo intendere la centralità della politica nel pensiero di Platone. Come egli scrisse, in tarda età, nella Lettera VII del suo epistolario, proprio la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa però come impegno "civile".[54] La riflessione sulla politica diventa, in altre parole, riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge un'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro organicamente appartenente alla polis.
Fin dalle prime fasi di questa riflessione, appare chiaro che per il filosofo ateniese risolvere il problema della giustizia significa affrontare il problema della conoscenza. Da qui la necessità di intendere la genesi del "mondo delle idee" come frutto di un impegno "politico" più complessivo e profondo.

La dottrina della conoscenza: le Idee

L'Idea, traducibile più correttamente con «forma», è dunque il vero oggetto della conoscenza: ma essa non è soltanto il fondamento gnoseologico della realtà, ossia la causa che ci permette di pensare il mondo, bensì ne costituisce anche il fondamento ontologico, essendo il motivo che fa essere il mondo. Le idee rappresentano l'eterno Vero, l'eterno Buono e l'eterno Bello, a cui si contrappone la dimensione vana e transitoria dei fenomeni sensibili.
La più compiuta teoria platonica della conoscenza, esposta nel dialogo Repubblica e altrimenti nota come teoria della linea, è quindi rappresentabile col seguente schema:
Solo la conoscenza intelligibile, cioè concettuale, assicura un sapere vero e universale; l'opinione invece, fondata sui due stadi inferiori del conoscere, è portata a confondere la verità con la sua immagine. Platone polemizza in proposito contro il materialismo di Democrito, secondo cui erano gli atomi, entità materiali fisse, a determinare la formazione o la distruzione degli elementi.[73] Secondo Platone non ci sono in natura princìpi (o archè) ultimi e indivisibili: tutta la realtà fenomenica «scorre» in un continuo mutamento; al contempo però essa tende a costituirsi secondo forme atemporali che sembrano preesisterle. Proprio questo è il punto di cui Democrito non aveva saputo rendere ragione, ossia del perché la materia si aggreghi sempre in un certo modo, per formare ad esempio ora un cavallo, ora un elefante. Ciò evidentemente è possibile perché dietro ogni animale deve esistere un'idea, cioè una «forma» precostituita per ogni tipo, spirituale e non materiale.
L'Idea è inoltre ciò che consente a Platone di conciliare il dualismo filosofico venutosi a creare tra Parmenide ed Eraclito: nelle idee risiede infatti la dimensione ontologica dell'Essere parmenideo, ma esse forniscono anche, in virtù della loro molteplicità, una spiegazione al divenire eracliteo che domina i fenomeni naturali, al quale Platone cercava una motivazione razionale che non lo riducesse a semplice illusione come aveva fatto Parmenide.

La funzione del mito

Oltre al dialogo, una caratteristica peculiare di Platone nella sua esposizione della dottrina delle idee consiste nella reintroduzione, con la sua opera, del mito, quale forma di conoscenza tradizional-popolare che, cronologicamente, precedeva di molto la nascita della filosofia greca.
Platone ha un atteggiamento diversificato nei confronti del mito, che ritiene vada rivalutato in quanto utile, e anzi necessario, alla comprensione. Il mito va infatti inteso come esposizione di un pensiero ancora nella forma di racconto, quindi non come ragionamento puro e rigoroso. Esso ha una funzione allegorica e didascalica, presenta cioè una serie di concetti attraverso immagini che facilitano il significato di un discorso piuttosto complesso, cercando di renderne comprensibili i problemi, e creando nel lettore una nuova tensione intellettuale, un atteggiamento positivo nei confronti dello sviluppo della riflessione.
Il mito ha così una doppia funzione: da un lato è un semplice espediente didattico-espositivo di cui Platone fa uso per comunicare in maniera più accessibile e intuitiva le sue dottrine. Dall'altro è un mezzo per superare quei limiti oltre i quali l'indagine razionale non può andare, diventando un vero e proprio strumento di verità, una "via alternativa" al solo pensiero filosofico, grazie alla sua capacità di armonizzare unitariamente gli argomenti. Il mito è il momento in cui Platone esprime la bellezza della verità filosofica, in cui questa si manifesta anche con immagini e figure sensibili, e di fronte alla quale i discorsi razionali risultano insufficienti.
Le scienze rappresentano un sapere inferiore perché, pur trattandosi di argomentazioni necessarie e dimostrate, vivono di ipotesi. Classico esempio è la costruzione dei teoremi di geometria, basati su ipotesi e tesi, che Euclide raccolse e sistematizzò poco più d'un secolo dopo, e che erano parte di una tradizione tramandata oralmente. Se il mito pecca di scarso senso del rigore, e la scienza di incapacità di elevazione, entrambi però, in mancanza di una conoscenza migliore, hanno una loro dignità. L'unica forma di sapere che il filosofo non può mai accettare è la doxa, il mondo dell'opinione mutevole e transitoria.
I racconti mitici platonici toccano le questioni fondamentali dell'esistenza umana, come la morte, l'immortalità dell'anima, la conoscenza, l'origine del mondo, e le collegano strettamente ai temi e ai discorsi logico-critici, a cui il filosofo affida il compito di produrre una conoscenza e una rappresentazione vere della realtà.
Alcuni dei miti che si possono riscontrare nell'opera platonica sono approssimativamente i seguenti:
Mito della caverna
Mito della reminiscenza
Mito del giudizio delle anime
Mito dell'immortalità dell'anima
Mito di Er
Mito del Demiurgo
Tra i racconti platonici degni di nota per la loro ispirazione sono generalmente annoverati anche quello sulle forme di conoscenza o «la linea»,[100] e «il mistero dell'amore»[101] sulla gerarchia del bello.